IL TRIBUNALE

    Nelle  cause  riunite  iscritte al n. 726/2004 R.G. e promosse da
Macor  Alberto, Carnemolla Maria Vittoria, Fiorencis Fulvio, Ielussig
Susanna,   Giordano   Giuliana,   Pichierri   Luciana,   Bianco  Ida,
rappresentati  e difesi dagli avv. Fabio Petracci e Alessandra Marin,
con  domicilio  eletto  presso  il  loro  studio  a Trieste, viale XX
settembre n. 16, ricorrenti.
    Contro:  1)  Poste  Italiane  S.p.A.,  in persona del presidente,
rappresentata  e  difesa dall'avv. Salvatore Trifiro', giuste procure
generali  alle  liti  e  dall'avv.  Domenico  Pizzonia, con domicilio
eletto presso lo studio di quest'ultimo a Trieste in via Timeus n. 1,
resistente;    2)   Istituto   Postetelegrafonici   IPOST,   Gestione
commisariale Fondo buonuscita Poste Italiane S.p.A. IPOST, in persona
del  Commissario ad acta per la liquidazione del Fondo, rappresentato
e  difeso dall'avv. Alessandro Botti, come da procura a margine della
memoria  di  costituzione, con domicilio eletto presso la cancelleria
del Tribunale di Trieste, resistente.
    Sciogliendo la riserva presa all'udienza del 21 febbraio 2006.
    1) Premesso che:
        con   distinti   ricorsi  Macor  Alberto,  Fiorencis  Fulvio,
Ielussig  Susanna,  Carnemolla Maria, Giordano Giuliana esponevano di
essere  stati  prima  dipendenti  dell'Ente Poste e quindi, a seguito
della trasformazione in societa' per azioni ex art. 2, comma 27 della
legge   23 dicembre   1996,  n. 662,  delle  Poste  Italiane  S.p.A.,
sottoposti  pertanto,  quanto  alle  indennita'  terminative,  ad  un
duplice  regime:  dalla  data  di  assunzione  alla trasformazione in
S.p.A.  all'indennita'  di  buonuscita e per il periodo successivo al
t.f.r.  In particolare, i ricorrenti evidenziavano che l'art. 4 della
legge   n. 297/1982,   istitutiva   del  t.f.r.,  ne  aveva  previsto
l'applicazione  a tutti i rapporti di lavoro con esclusione di quelli
di  impiego  pubblico  (quale  era  quello  alle dipendenze dell'Ente
Poste)  e  che l'art. 5, relativa al cumulo tra il pregresso istituto
dell'indennita'   di   anzianita'   e   t.f.r.,   aveva  previsto  la
rivalutazione  dell'indennita'  di  anzianita',  calcolata secondo la
disciplina  vigente sino al 1982, secondo gli stessi criteri previsti
dall'art. 2120  c.c.; che l'art. 53, comma 6, legge n. 449/1997 aveva
invece  previsto  per  il  personale  delle  Poste, a decorrere dalla
trasformazione  dell'Ente Poste Italiane in S.p.A., il trattamento di
fine   rapporto   di  cui  all'art.  2120  c.c.  e,  per  il  periodo
antecedente,   l'indennita'   di  buonuscita,  calcolata  secondo  la
normativa prima vigente.
    I  ricorrenti  sostenevano pertanto, al fine del mantenimento del
potere  di acquisto, il diritto alla rivalutazione dell'indennita' di
buonuscita  accantonata,  cosi'  come  il  legislatore del 1982 aveva
espressamente stabilito per l'indennita' di anzianita' gia' maturata,
con  riferimento  ai  dipendenti privati, all'entrata in vigore della
disciplina   del   t.f.r.,   pena   un'irragionevole   disparita'  di
trattamento  dei dipendenti delle Poste Italiane rispetto a tutti gli
altri  dipendenti  del  settore  privato al momento del passaggio dal
regime  dell'indennita'  di  anzianita'  a  quello  del  t.f.r.  Essi
affermavano  inoltre  l'interesse ad agire per l'accertamento di tale
diritto  alla  rivalutazione,  attesa la situazione di incertezza sul
punto,  come  ammesso dalla giurisprudenza di legittimita' in materia
di   t.f.r.   in  corso  di  rapporto.  Concludevano,  pertanto,  per
l'accertamento  del  diritto  alla  rivalutazione  della  somma  loro
spettante a titolo di indennita' di buonuscita ai sensi dell'art. 53,
comma 6 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997.
    Si   costituiva   nei  distinti  giudizi  Poste  Italiane  S.p.A.
eccependo, in via preliminare, l'inammissibilita' dell'azione di mero
accertamento  proposta  dai  ricorrenti, per mancanza di interesse ad
agire, in quanto la situazione oggetto dell'accertamento medesimo non
era  mai  stata contestata; eccepiva, altresi', la propria carenza di
legittimazione  passiva,  dal  momento  che  la  corresponsione della
indennita'  di  buonuscita  e'  ancora di competenza di IPOST, si' da
chiedere l'estromissione dal giudizio.
    Nel  merito  la  societa' sosteneva comunque l'infondatezza della
pretesa rivalutazione della somma spettante a titolo di indennita' di
buonuscita,  non  essendo  applicabile  l'art. 429  c.p.c., attesa la
natura previdenziale e non retributiva dell'indennita' di buonuscita,
e  non essendo la rivalutazione prevista dall'art. 53, comma 6, legge
n. 449/1996 e dall'art. 5 della legge n. 282/1996.
    Si  costituiva  nei diversi giudizi IPOST, Gestione Commissariale
Fondo Buonuscita lavoratori delle Poste Italiane S.p.A., chiedendo il
rigetto delle domande.
    Rilevava,    in    particolare,    che   il   legislatore   aveva
consapevolmente  disciplinato,  con  il  comma VI dell'art. 53, legge
n. 27 dicembre  1997,  n. 449,  due  autonomi  e  differenti  regimi,
indennita'  di  buonuscita  e  t.f.r., prevedendo che l'indennita' di
buonuscita,  per il periodo precedente alla trasformazione in S.p.A.,
venga   calcolata   secondo   la   normativa   vigente   prima  della
trasformazione;  che  il  t.f.r.  non  e'  in alcun modo assimilabile
all'indennita'   di  buonuscita,  soggiacendo  questa  ad  un  rigido
rapporto   di   proporzionalita'   tra   il   versato   e   l'entita'
dell'indennita',   la   cui   liquidazione  fonda  i  propri  criteri
gestionali  e  operativi  in scelte di politiche economica del Paese,
che non possono prescindere da valutazioni di copertura finanziaria e
di,  equilibrio  del bilancio dello Stato. Chiedeva quindi il rigetto
del ricorso.
    Nel  corso  del giudizio veniva disposta la riunione delle cause,
stante  l'identita'  delle questioni dalla cui risoluzione dipende la
decisione di esse.
    Autorizzato il deposito di note, il giudice si riservava.
    2) Considerato che:
        I  ricorrenti,  dipendenti postali da periodo precedente alla
privatizzazione delle Poste, chiedono l'accertamento del diritto alla
rivalutazione  della  somma  accantonata  a  titolo  di indennita' di
buonuscita  a  partire  dalla  data di trasformazione dell'Ente Poste
Italiane in S.p.A. sino alla cessazione del rapporto di lavoro.
        La   domanda,   quindi,   non   e'   volta   ad  ottenere  il
riconoscimento   di   nuove  voci  di  calcolo  per  l'indennita'  di
buonuscita,  ma  il  diritto  alla  rivalutazione  dell'indennita' di
buonuscita,  indennita'  che,  per  espressa  previsione legislativa,
viene calcolata secondo la disciplina propria, quindi accantonata per
andare  ad aggiungersi al t.f.r. che matura per il periodo successivo
alla privatizzazione.
    3)  Ritenuto  che sussista, in capo ai ricorrenti, l'interesse ad
agire.
    In  dottrina,  l'azione  di  accertamento in materia di t.f.r. e'
ammessa  sia  da  coloro che sostengono l'esistenza di un diritto del
lavoratore sulle quote, sia anche da chi ritiene che il diritto nasca
solo   con  l'estinzione  del  rapporto  di  lavoro,  in  ragione  di
elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
    In  tal  senso la costante giurisprudenza di legittimita' ritiene
ormai possibile per il lavoratore, in costanza di rapporto di lavoro,
esperire  un'azione  di  mero accertamento in relazione ai criteri di
calcolo  del t.f.r., in quanto l'utilita' dell'azione sta proprio nel
vantaggio  che  deriva  al  lavoratore  dal  mettere  un  punto fermo
indiscutibile  sul t.f.r. maturato, in presenza di un oggettivo stato
di  incertezza  (cfr.: Cass. 24 giugno 1991, n. 7081; Cass. 9.6.5606;
Cass. 11 giugno 2000, n. 6046).
    Nella  fattispecie  concreta,  tale  situazione  di incertezza e'
evidenziata  dalla tesi, contraria a quanto richiesto dai lavoratori,
espressa   dal   Ragioniere   generale   dello  Stato  del  Ministero
dell'economia e delle Finanze (doc. 6 IPOST).
    4) Considerato che:
        In  base  al  disposto  dell'art. 2,  comma  27  della  legge
23 dicembre  1996, n. 662, l'Ente Poste Italiane e' stato trasformato
in  societa'  per  azioni,  divenendo  quindi  i  ricorrenti, da quel
momento, dipendenti privati.
        L'art. 53,  comma  6 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha
quindi  previsto  che  «a  decorrere  dalla  data  di  trasformazione
dell'Ente Poste Italiane in societa' per azioni ai sensi dell'art. 2,
comma   27,  della  legge  23 dicembre  1996,  n. 662,  al  personale
dipendente  dalla  societa'  medesima spetta: «il trattamento di fine
rapporto  di  cui  all'art. 2120  c.c.  e,  per il periodo lavorativo
antecedente,  l'indennita'  di buonuscita maturata, calcolata secondo
la  normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente
comma», ossia secondo la normativa vigente per il personale statale.
        Conformemente,  l'allegato  A  al  CCNL in vigore afferma che
l'indennita'  di buonuscita maturata dai dipendenti di Poste Italiane
S.p.A.  fino alla data del 28 febbraio 1998 (trasformazione dell'ente
in  S.p.A.)  continuera'  ad  essere  calcolata  secondo la normativa
tuttora vigente.
        Pertanto,  con  il  passaggio, in data 1° marzo 1998, da Ente
Pubblico  Economico  a  Poste  Italiane  S.p.A., i dipendenti postali
assunti  prima  della trasformazione avranno diritto a due indennita'
terminative  distinte,  con  attuazione di due separate operazioni di
liquidazione  a  seconda  della  soggezione  del  periodo considerato
all'uno o all'altro regime.
    L'indennita'   di   buonuscita,   maturata   sino  alla  data  di
trasformazione  dell'Ente, e' calcolata secondo la disciplina vigente
prima  della privatizzazione, ex d.P.R. n. 1032 del 29 dicembre 1973,
venendo quindi accantonata per andare ad aggiungersi, alla cessazione
del  rapporto  di  lavoro, alle somme maturate nel periodo successivo
alla  trasformazione,  a  titolo  di  t.f.r.,  calcolato  secondo  la
disciplina introdotta dalla legge 29 maggio 1982, n. 297.
        Nulla  ha detto espressamente il legislatore circa il diritto
-  rivendicato dai ricorrenti in questo giudizio - alla rivalutazione
dell'indennita'   di   buonuscita   maturata  sino  alla  data  della
trasformazione dell'Ente Poste in S.p.A. e accantonata.
    L'art. 53,  comma  6  della  legge  27 dicembre  1997, n. 449, ha
invero  soltanto stabilito che l'indennita' di buonuscita deve essere
calcolata secondo la disciplina propria.
        Tuttavia,  i ricorrenti assumono che sussistano le condizioni
per  l'applicazione  al  caso  dell'art. 2120,  commi  4  e  5  c.c.,
attraverso gli articoli 4 e 5 della legge n. 297/1982.
        Cio'  viene  sostenuto sulla base della sostanziale identita'
rispetto  alla  situazione determinatasi a seguito del passaggio, nel
rapporto  di lavoro privato, dall'indennita' di anzianita' al t.f.r.,
situazione  regolata dal legislatore in modo tale da assicurare, alla
quota di indennita' di anzianita' maturata e cristallizzata alla data
di  entrata  in  vigore  della  nuova  legge, lo stesso meccanismo di
rivalutazione  annuale  previsto  per  gli  accantonanti  annuali del
t.f.r.
    5)  Ritenuto  al contrario, dopo piu' attenta riflessione, che la
mancata  previsione della rivalutazione dell'indennita' di buonuscita
non  possa  essere colmata per via interpretativa, con l'applicazione
dei commi 4 e 5 dell'art. 2120 c.c., attraverso gli artt. 4 e 5 della
legge   n. 297/1982,   ma  determini,  al  contrario,  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale, come gia' ritenuto dal Tribunale di Roma
nell'ordinanza  di  rimessione alla Corte del 7 giugno 2005 (iscritta
al  n. 456  del  registro  ordinanze  2005, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 39, prima serie speciale, 2005).
    Se  e'  vero,  infatti,  che  l'art. 53,  comma  6,  della  legge
n. 449/1997  non  prevede  alcuna  rivalutazione  dell'indennita'  di
buonuscita,  si  rileva  che  la  normativa richiamata dai ricorrenti
(legge n. 297/1982) ed i principi in generali ad essa sottesi vengono
in  rilievo  nel  settore  del  pubblico  impiego  (tale  e' stato il
rapporto  con l'E.P.I. fino al febbraio 1998) solo in via sussidiaria
e nei limiti in cui la materia non sia diversamente regolata da norme
speciali,  secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2129 c.c.;
inoltre,  l'art. 53,  comma 6, legge n. 449/1997, quale norma di pari
rango  di  quelle  contenute  nella  legge n. 297/1982, prevale sulle
stesse,  in  quanto  successiva,  oltre che speciale; ne consegue che
l'indennita'  di buonuscita, dovuta al personale postelegrafonico per
la   parte   di   rapporto   di  natura  pubblicistica,  e'  regolata
esclusivamente  dal  d.P.R. n. 1092/1973 e, per quanto qui interessa,
dalla   legge   n. 449/1997,   che   non   prevede  alcuna  forma  di
rivalutazione dell'indennita' di buonuscita.
    Si  deve,  altresi',  considerare  che le norme degli artt. 4 e 5
della legge n. 297/1982 - attraverso le quali i ricorrenti sostengono
il  diritto all'applicazione dei commi 4 e 5 dell'art. 2120 c.c. - in
quanto  disposizioni  rispettivamente  «finali» e «transitorie» erano
destinate  a  disciplinare la situazione del passaggio dei dipendenti
privati dal regime dell'indennita' di buonuscita a quello del «nuovo»
trattamento  di  fine  rapporto, con efficacia quindi necessariamente
limitata nel tempo.
    6)  Considerato  che,  per tali motivi, la domanda dei ricorrenti
dovrebbe  essere respinta, tanto che cio' rende rilevante il proposto
incidente di costituzionalita'.
    7)  Ritenuta  la  non  manifesta  infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale, per le ragioni subito esposte.
    La disciplina e la natura dell'indennita' di buonuscita.
    In base al d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 i dipendenti statali,
all'atto   di   cessazione   del   servizio,  conseguono  il  diritto
all'indennita' di buonuscita.
    In  particolare, in base all'art. 3 (come modificato dall'art. 7,
comma   1,   legge   n. 177/1976   e  dall'art. 1,  comma 267,  legge
n. 662/1996)  «l'iscritto  al  Fondo  di  previdenza per il personale
civile  e  militare  dello  Stato,  gestito  dall'ente  nazionale  di
previdenza  e  assistenza  per  i  dipendenti  statali, che cessi dal
servizio  per  qualunque causa, consegue il diritto all'indennita' di
buonuscita  dopo  almeno  un  anno  di iscrizione al Fondo (comma 1).
L'indennita'  e'  pari  a tanti dodicesimi della base contributiva di
cui all'art. 38 quanti sono gli anni di servizio computabili ai sensi
delle disposizioni contenute nel successivo comma 3 (comma 2). Per la
determinazione della base contributiva, ai fini dell'applicazione del
comma  precedente,  si considera l'ultimo stipendio o l'ultima paga o
retribuzione  integralmente  percepite;  la stessa norma vale per gli
assegni  che  concorrono a costituire la base contributiva (comma 3).
All'iscritto  al  Fondo  di  previdenza  per  il  personale  civile e
militare dello Stato, di cui al primo comma, che effettui passaggi di
qualifica,  di  carriera  o  di  amministrazione  senza  soluzione di
continuita',  e  che comunque, dopo tali passaggi, continui ad essere
iscritto  al  Fondo  stesso,  viene  liquidata all'atto di cessazione
definitiva dal servizio un'unica indennita' di buonuscita commisurata
al periodo complessivo di servizio prestato».
    In  base  all'art. 38 la base contributiva e' costituita dall'80%
dello  stipendio, paga o retribuzioni annui, considerati al lordo, di
cui  alle  leggi  concernenti  il trattamento economico del personale
iscritto al Fondo, nonche' alcuni assegni e indennita' specificamente
indicate.
    In   base   all'evoluzione   della   giurisprudenza  della  Corte
costituzionale,   anche   all'indennita'   di  buonuscita  viene  ora
riconosciuta   la  natura  di  retribuzione  differita  con  funzione
previdenziale,  alla  pari  degli altri trattamenti di fine rapporto,
funzione  che  e' quella di far superare al lavoratore le difficolta'
economiche  conseguenti al venir meno del trattamento retributivo per
effetto   della   cessazione  del  rapporto  di  lavoro  (Cfr.  Corte
costituzionale,   sentenze   n. 471/1989,   n. 319/1991,  n. 99/1993;
n. 243/1993, nonche' Cass. 26 gennaio 2000, n. 10).
    In particolare, secondo la Corte costituzionale «non puo' negarsi
che  la  natura  retributiva propria dell'indennita' di fine rapporto
permane  e  vale  quali  che  siano  i  soggetti tenuti ad erogare il
trattamento  (il medesimo datore di lavoro o un terzo), quale che sia
il   meccanismo   di  alimentazione  della  provvista  (contributi  o
accantonamento),  quali  che  siano  i  soggetti su cui grava l'onere
contributivo   in   senso   lato  (datore  di  lavoro,  lavoratore  o
entrambi)»,   sicche'   si  puo'  in  definitiva  affermare  che  «le
indennita'   di   fine   rapporto,   nonostante   le   diversita'  di
regolamentazione,  costituiscono  una categoria unitaria connotata da
identita'  di  natura  e  funzione  e  dalla  generale applicazione a
qualunque  tipo  di  lavoro  subordinato  e  a  qualunque  ipotesi di
cessazione del medesimo» (Corte cost. sentenza n. 243/1993).
    La  comune  natura  di retribuzione differita (accompagnata dalla
funzione  previdenziale),  riconosciuta a tutti i trattamenti di fine
rapporto,  ne determina un'intrinseca comparabilita', sia nella sfera
del settore pubblico che in quella del settore privato.
    Si   osserva   fra   l'altro  che,  completando  il  processo  di
armonizzazione dell'intero comparto del lavoro dipendente, la riforma
pensionistica  del  1995  ha stabilito (art. 2, comma 5, legge n. 335
del  1995)  che  per  i  lavoratori  assunti dal 1° gennaio 1996 alle
dipendenze   di  amministrazioni  pubbliche  i  trattamenti  di  fine
servizio,  comunque  denominati,  siano  regolati  in  base  a quanto
previsto dall'art. 2126 c.c. in materia di t.f.r.
    Ai  dipendenti  pubblici,  tra cui anche rientravano quelli delle
Poste   prima   della   trasformazione  in  S.p.A.,  l'indennita'  di
buonuscita  veniva dunque attribuita sulla base dell'ultimo stipendio
(che e' di regola piu' alto), percepito dagli interessati all'atto di
cessazione del servizio.
    L'indennita'   di   anzianita'   prevista  dal  testo  originario
dell'art. 2120 c.c.
    Sulla   base   dell'ultimo   stipendio   era  altresi'  calcolata
l'indennita' di anzianita' che spettava ai lavoratori privati in base
al  testo  originario dell'art. 2120 c.c., prima di essere sostituita
dal trattamento di fine rapporto.
    In  particolare,  in  ogni  caso  di  cessazione del contratto di
lavoro  spettava  al lavoratore un'indennita' proporzionale agli anni
di  servizio;  l'ammontare  dell'indennita'  era  determinata in base
all'ultima   retribuzione   e   in   relazione   alla   categoria  di
appartenenza, fissando poi l'art. 2121 c.c. i criteri di computo.
    Pertanto,   sia   l'indennita'   di  buonuscita  che  la  vecchia
indennita'  di  anzianita'  erano  calcolate  sulla  base dell'ultimo
stipendio  percepito  al  momento della cessazione del rapporto; cio'
garantiva  l'adeguamento  della  somma al costo della vita al momento
dell'erogazione (cessazione del rapporto).
    La disciplina del t.f.r. e la disciplina transitoria. La funzione
della rivalutazione.
    L'art. 1  della  n. 297  del  1982 ha introdotto, in sostituzione
dell'indennita'  di  anzianita',  il  trattamento  di  fine rapporto,
sostituendo  l'art. 2120  c.c.  che  ora  prevede:  «In  ogni caso di
cessazione  del  rapporto  di  lavoro  subordinato,  il prestatore di
lavoro   ha   diritto  ad  un  trattamento  di  fine  rapporto.  Tale
trattamento  si  calcola  sommando  per  ciascun anno di servizio una
quota  pari  e  comunque non superiore all'importo della retribuzione
dovuta   per   l'anno   stesso   divisa   per   13,5.   La  quota  e'
proporzionalmente  ridotta per le frazioni di anno, computandosi come
mese  intero le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni
(comma  1).  Salvo  diversa  disposizione  previsione  dei  contratti
collettivi  la  retribuzione  annua,  ai  fini  del comma precedente,
comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in
natura,  corrisposte  in  dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo
non  occasionale  e  con esclusione di quanto corrisposto a titolo di
rimborso spese (comma 2). In caso di sospensione della prestazione di
lavoro  nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'art. 2110,
nonche'  in  caso  di  sospensione totale o parziale per la quale sia
prevista  l'integrazione  salariale,  deve  essere  computato,  nella
retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a
cui  il lavoratore avrebbe diritto in caso di normale svolgimento del
rapporto  di  lavoro  (comma  3). Il trattamento di cui al precedente
primo  comma,  con  esclusione  della  quota  maturata  nell'anno, e'
incrementato,  su  base  composta,  al  31 dicembre di ogni anno, con
l'applicazione   di   un   tasso  costituito  dall'1,5%  dell'aumento
dell'indice  dei  prezzi  al  consumo  per  le  famiglie di operai ed
impiegati,   accertato  dall'Istat,  rispetto  al  mese  di  dicembre
dell'anno  precedente (comma 4). Ai fini della applicazione del tasso
di  rivalutazione  di  cui  al comma precedente per frazioni di anno,
l'incremento  dell'indice  Istat  e'  quello  risultante  nel mese di
cessazione  del  rapporto  di  lavoro  rispetto  a quello di dicembre
dell'anno  precedente.  Le  frazioni  di  mese  uguali  o superiori a
quindici giorni si computano come mese intero (comma 5)».
    La  rivalutazione  avviene  su  base composta, nel senso che ogni
anno  si  procede  alla  rivalutazione  di  tutte le quote precedenti
comprensive degli incrementi gia' calcolati in passato.
    Il  tasso  di  indicizzazione prescelto dal legislatore e' misto,
composto  da  una  parte  in  misura predeterminata e da una parte in
misura  variabile  destinata a cumularsi tra loro. La parte variabile
e' collegata all'indice Istat per i prezzi al consumo, che e' diverso
da  quello  per  la  scala mobile utilizzato per la rivalutazione dei
crediti di lavoro (art. 429 c.p.c. e art. 150 disp. att. c.p.c.).
    Si e' evidenziato che la scelta di un tasso misto al posto di una
indicizzazione  pura (piena o parziale) e' stata consapevole, al fine
di garantire una copertura piena del valore reale delle quote solo in
caso di inflazione pari al 6%, mentre in caso di inflazione superiore
a tale livello la copertura diviene parziale ed in caso di inflazione
inferiore  viene assicurata al lavoratore una piccola rendita. In tal
modo  l'adeguatezza della garanzia risulta inversamente proporzionale
all'andamento  dell'inflazione,  concorrendo a contenere il costo del
lavoro  e,  quindi,  l'inflazione  stessa  allorche' questa superi il
livello considerato tollerabile.
    Il  calcolo del t.f.r. non e' piu' fondato, come per l'indennita'
di   anzianita',  sull'ultima  retribuzione,  la  cui  considerazione
determinava  un  adeguamento automatico delle quote pregresse, bensi'
e'  ancorato  alla  retribuzione di ciascun anno di lavoro, nel senso
che le relative quote vengono calcolate alla fine di ogni anno solare
ed  accantonate  in  attesa  di  essere  erogate  tutte  insieme alla
cessazione del rapporto. Questo intervallo tra il momento del calcolo
e  quello dell'erogazione comporterebbe, in un periodo di inflazione,
una  progressiva diminuzione del valore reale delle quote, in assenza
di   un  adeguato  meccanismo  di  indicizzazione  delle  stesse.  Le
disposizioni   dell'art. 2120  c.c.,  commi  4  e  5,  predispongono,
appunto,  un meccanismo del genere, prevedendo un tasso di incremento
annuale delle quote calcolate negli anni precedenti.
    Nella  struttura del nuovo istituto tale sistema di rivalutazione
assolve,  dunque,  la  medesima  funzione  adempiuta,  per la vecchia
indennita'   di  anzianita',  dall'aggancio  della  base  di  calcolo
all'ultima retribuzione, trattandosi, in entrambi i casi, di adeguare
al  costo  della  vita  al  momento  dell'erogazione  (cessazione del
rapporto)  l'entita'  di compensi imputabili al lavoro svolto durante
tutto  l'arco  del rapporto; la differenza e' che nel vecchio sistema
lo  scopo  era  realizzato  mediante  la  rivalutazione della base di
calcolo,   mentre   nel   nuovo   sistema   si  rende  necessaria  la
rivalutazione dei risultati del calcolo (quote).
    La  stessa legge n. 297 del 1982 all'art. 4 (disposizioni finali)
ha  previsto  che: «le norme di cui all'art. 2120 c.c. commi secondo,
terzo,  quarto, quinto e sesto comma dell'art. 5 della presente legge
si  applicano  a  tutti  i rapporti di lavoro subordinato per i quali
siano  previste forme di indennita' di anzianita', di fine lavoro, di
buonuscita,  comunque  denominate  o  da qualsiasi fonte disciplinate
(comma  4)»,  prevedendo  al  contempo  che  tale  disciplina  non si
applichi al trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici.
    Infine, l'art. 5 della stessa legge (disposizioni transitorie) ha
previsto,  al  comma  1,  che «l'indennita' di anzianita' che sarebbe
spettata  ai  singoli  prestatori di lavoro in caso di cessazione del
rapporto  all'atto  dell'entrata  in  vigore  della presente legge e'
calcolata  secondo  la  disciplina  vigente  sino a tale momento e si
cumula  a  tutti  gli effetti con il trattamento di cui all'art. 2120
c.c.   Si  applicano  le  disposizioni  del  quarto  e  quinto  comma
dell'art. 2120 c.c.».
    Pertanto  nei  confronti  dei  rapporti  di  lavoro  sorti  prima
dell'entrata  in  vigore della legge stessa (1° giugno 1982) e ancora
in  corso  di  svolgimento a quella data, il trattamento economico da
corrispondersi  alla  cessazione del rapporto consta di due parti. La
prima  e'  relativa  all'anzianita' maturata sino al 31 maggio 1982 e
consiste  in  una  somma  calcolata  secondo  i  criteri  dettati per
l'indennita'  di anzianita' dal vecchio testo degli artt. 2120 e 2121
c.c.;  la seconda parte e' relativa all'anzianita' di lavoro maturata
dopo  il  31 maggio 1982 e consiste in una somma calcolata secondo le
modalita'  e  i  criteri  dettati  dalla legge n. 297 del 1982 per il
t.f.r.
    Ambedue  le  somme  vengono poi annualmente rivalutate secondo il
meccanismo   di   indicizzazione   previsto   dalla   disciplina  sul
trattamento  di  fine rapporto. Si e', in altri termini, previsto che
per  il  periodo  di  lavoro  precedente  alla  legge 297 del 1982 il
dipendente  avesse diritto alla indennita' di anzianita' calcolata in
base alla disciplina pregressa, ma si e' anche stabilito che la somma
cosi'  calcolata  -  e distinta da quella maturata e calcolata per il
periodo   successivo   a  titolo  di  t.f.r.  -  venisse  annualmente
rivalutata attraverso gli indici previsti per il t.f.r.
    Cio'  all'evidente  scopo  di  evitare  che la predetta somma, da
calcolarsi   in   base   all'ultimo   stipendio   goduto  al  momento
dell'entrata  in  vigore  del t.f.r. ed erogata poi, al momento della
cessazione  del  rapporto  di  lavoro anche a distanza di molti anni,
perdesse il potere di acquisto che le era proprio.
    La  disciplina dell'indennita' di buonuscita maturata nel periodo
precedente alla trasformazione delle Poste in S.p.A.
    Con   la   sostituzione,   attuata   dalla   legge   n. 297/1992,
dell'indennita' di buonuscita con il t.f.r., si e' posta, in realta',
la  medesima  questione  oggetto  del  presente giudizio, sebbene, in
quell'occasione,  il  legislatore,  con  la  disposizione transitoria
dell'art. 5,  abbia  espressamente previsto l'indicizzazione, secondo
quanto  stabilito  dai  commi  4 e 5 dell'art. 2120 c.c., anche della
somma calcolata a titolo di indennita' di anzianita'.
    L'art. 53,  comma  6,  lettera  a)  della  legge  n. 449/1997 non
prevede   invece   la  rivalutazione  dell'indennita'  di  buonuscita
riconosciuta ai dipendenti postali per la parte di rapporto pubblico,
maturata   al   28   febbraio  1998  e  calcolata  sulla  base  della
retribuzione  spettante a tale data. Ne' si puo' ritenere, per quanto
sopra   esposto,   che   il   diritto   alla   rivalutazione   derivi
dall'applicazione dell'art. 5 della legge n. 297/1982.
    La  legge  del  1997  non ha previsto nemmeno la possibilita' del
pagamento  immediato  di  detta  indennita' che, entrando a far parte
dell'unitario  trattamento di fine rapporto quale quota di esso senza
interruzione  del  rapporto  di lavoro nel passaggio dall'E.P.I. alle
Poste  Italiane  S.p.A.,  potra'  essere  erogata solo all'atto della
cessazione  del  rapporto.  E,  d'altra  parte,  la  possibilita' del
pagamento immediato dell'indennita' di buonuscita deve essere esclusa
in  ragione  della  natura  retributiva  con  finalita' previdenziale
propria di tutte le indennita' terminative.
    Pertanto,  l'indennita'  in  questione  resta  congelata in cifra
fissa per tutto il periodo compreso tra il l° marzo 1998 e la data di
cessazione  del  rapporto di lavoro dei dipendenti, non determinabile
prevedibilmente e variabile per ciascuno di essi.
    L'indennita'  di  buonuscita  viene quindi quantificata prendendo
come   parametro  di  calcolo  l'ultima  retribuzione  percepita  dal
dipendente  postale  in qualita' di pubblico dipendente, cioe' quella
spettante al 28 febbraio 1998, in base al disposto dell'art. 3, commi
2  e  3  d.P.R. n. 1032/1973, e non quella della effettiva cessazione
del  rapporto  di  lavoro,  che,  invece,  costituisce  parametro  da
utilizzare  per  l'esatta  quantificazione  del  trattamento  di fine
rapporto.
    Tuttavia,  l'indennita'  di  buonuscita  spettante  ai dipendenti
delle  Poste  prima  della  trasformazione  in  S.p.A.  e'  del tutto
equiparabile   all'indennita'   di   anzianita'  di  cui  godevano  i
dipendenti privati prima dell'introduzione del t.f.r.
    La   norma   dell'art. 53,  comma  6,  lettera  a)  della  legge.
n. 449/1997  -  nella  parte  in  cui  non  prevede  il  diritto alla
rivalutazione  monetaria  dell'indennita'  di  buonuscita  -  risulta
pertanto di dubbia legittimita' costituzionale, per contrasto con gli
artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.
    Risulta   in   primo   luogo  in  contrasto  con  l'art. 3  della
Costituzione  non  garantire anche ai dipendenti delle Poste cio' che
e'  stato  attribuito a tutti gli altri dipendenti, tanto del settore
privato  al  momento  del  passaggio  dal  regime  dell'indennita' di
anzianita' a quello del t.f.r., che del settore pubblico.
    La  diversita'  di  disciplina  non  appare  invero in alcun modo
ragionevole  e  giustificata,  anche  considerando che il legislatore
mostra di aver voluto parificare i dipendenti delle Poste, al momento
della  trasformazione in S.p.A., a tutti gli altri dipendenti privati
quanto alle indennita' terminative.
    La  rilevata  identita'  di  natura  e  di  funzione  di tutte le
indennita' di fine rapporto, quale piu' volte evidenziata dalla Corte
costituzionale,  esclude,  in  ragione  dei  principio di uguaglianza
stabilito   dall'art. 3   della  Costituzione,  che  la  varieta'  di
struttura  e  di  disciplina che esse presentano nei vari settori del
lavoro  subordinato  possano  tradursi  in  sperequazioni sostanziali
(Corte costituzionale, sentenza n. 243/1993 e n. 164/1998).
    La  norma in oggetto crea altresi' un'irragionevole disparita' di
trattamento pure nell'ambito degli stessi dipendenti postali, venendo
in  particolar modo danneggiati i lavoratori che, in ipotesi, cessino
il  rapporto di lavoro a notevole distanza dalla trasformazione delle
Poste  in  S.p.A.,  ma  che,  al  contempo,  fossero  gia' dipendenti
dell'ente da molti anni prima; in tal caso la somma maturata a titolo
di  indennita' di buonuscita non sarebbe piu' adeguata al costo della
vita  al  momento  dell'erogazione,  che  coincide  con  quello della
cessazione del rapporto.
    Inoltre,  la  norma  si  pone  in  contrasto  con l'art. 36 della
Costituzione,   nella   parte  in  cui  stabilisce  il  principio  di
proporzionalita'   della   retribuzione  rispetto  alla  quantita'  e
qualita'   di   lavoro  prestato  e  dove  prevede  il  principio  di
sufficienza  rispetto  alle  particolari  esigenze  di  vita che tali
indennita' sono dirette a fronteggiare.
    Finche',  al  momento  della cessazione del rapporto di lavoro al
dipendente   postale   era   attribuita   soltanto   l'indennita'  di
buonuscita,  essendo  questa  calcolata  - come anche l'indennita' di
anzianita'  prima  della sua sostituzione con il t.f.r. - sull'ultima
retribuzione,  il  lavoratore  aveva comunque garantito l'adeguamento
automatico   delle   quote   pregresse.  Escludere  la  rivalutazione
monetaria   dell'indennita'   di   buonuscita  maturata  prima  della
trasformazione  dell'ente  determina  invece un'irragionevole lesione
del  diritto  all'adeguamento  al  costo  della  vita dei crediti del
lavoratore,   diritto   che   costituisce   un   principio   generale
dell'ordinamento lavoristico, come sancito dall'art. 429 c.p.c.
    L'adeguamento  alle  variazioni  del  valore  reale  della moneta
cagionate dall'inflazione e' essenziale per conservare il rapporto di
proporzionalita',   garantito   dall'art. 36,   tra   retribuzione  e
quantita'  del lavoro, posto che tale rapporto richiede ovviamente di
essere riferito ai valori reali di entrambi i suoi termini.
    E la rivalutazione costituisce tale strumento di adeguamento.
    Riconosciuta   la   natura   retributiva,  seppur  con  finalita'
previdenziali,   di  tutte  le  indennita'  terminative,  non  sembra
ragionevole   ne'   giustificata   l'esclusione  della  rivalutazione
dell'indennita'  di  buonuscita  del  solo  dipendente  postale  che,
assunto  prima  della  trasformazione  dell'ente,  abbia continuato a
lavorare anche successivamente, come e' avvenuto per i ricorrenti.
    In altri termini, come gia' ritenuto dal Tribunale di Roma con la
citata   ordinanza  del  7 giugno  2005,  non  pare  ragionevole  ne'
giustificata   la   penalizzazione  imposta  ai  dipendenti  postali,
rispetto   a  tutti  gli  altri  lavoratori  solo  in  ragione  della
trasformazione,  per  legge,  del  rapporto  di  lavoro da pubblico a
privato.
    Al  contempo,  considerata anche la finalita' previdenziale delle
indennita'  terminative  del  rapporto, la norma impugnata si pone in
contrasto  con  l'art.  38, comma 2 della Costituzione nella parte in
cui  prevede  che  vengano  assicurati  al  lavoratore,  in  caso  di
vecchiaia,  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di vita; il principio di
adeguatezza   (e   sufficienza)   presuppone   infatti   criteri   di
rivalutazione  della  prestazione idonei a garantire il permanere nel
tempo del valore reale della prestazione stessa.
    Ne'  puo' ritenersi che la disciplina in questione sia in realta'
di  maggior  favore  in  quanto  l'indennita' di buonuscita spettante
all'impiegato   postale   e'   calcolata   sulla   base   dell'ultima
retribuzione percepita prima della cessazione del rapporto d'impiego,
stante la continuazione del rapporto di lavoro (pur nella nuova veste
privatistica)   e   in  considerazione  del  fatto  che  la  suddetta
indennita',  congelata  al  febbraio 1998 senza alcuna rivalutazione,
viene erogata solo alla cessazione del rapporto stesso.
    Per  i motivi sopra esposti - vista anche l'ordinanza della Corte
costituzionale  n. 185  del  2006  - questo giudice ritiene del tutto
irrazionale  e  contraria  al  principio  di uguaglianza, oltre che a
quelli  di  cui  agli  artt. 36  e  38 della Costituzione, la mancata
previsione  anche  per  l'indennita'  di  buonuscita  dei  dipendenti
postali,   accantonata   ex  art. 53,  comma  6,  lettera  a),  legge
n. 449/1997, della rivalutazione secondo i criteri di cui al quarto e
quinto  comma  dell'art. 2120  c.c.,  in  relazione all'art. 5, primo
comma,  della  legge  29  maggio  1982,  n. 297; si tratta di criteri
idonei  a  mantenere  adeguato  il valore della somma accantonata nel
tempo  anche  lungo,  e  diverso da dipendente a dipendente, che puo'
intercorrere  fino  alla  effettiva  erogazione,  nel  rispetto della
funzione  previdenziale propria delle indennita' terminative, nonche'
ad   evitare  le  irragionevoli  diversificazioni  del  valore  reale
dell'indennita'   anche   tra  gli  stessi  destinatari  della  norma
impugnata.