IL TRIBUNALE Nelle cause riunite iscritte al n. 726/2004 R.G. e promosse da Macor Alberto, Carnemolla Maria Vittoria, Fiorencis Fulvio, Ielussig Susanna, Giordano Giuliana, Pichierri Luciana, Bianco Ida, rappresentati e difesi dagli avv. Fabio Petracci e Alessandra Marin, con domicilio eletto presso il loro studio a Trieste, viale XX settembre n. 16, ricorrenti. Contro: 1) Poste Italiane S.p.A., in persona del presidente, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Trifiro', giuste procure generali alle liti e dall'avv. Domenico Pizzonia, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo a Trieste in via Timeus n. 1, resistente; 2) Istituto Postetelegrafonici IPOST, Gestione commisariale Fondo buonuscita Poste Italiane S.p.A. IPOST, in persona del Commissario ad acta per la liquidazione del Fondo, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Botti, come da procura a margine della memoria di costituzione, con domicilio eletto presso la cancelleria del Tribunale di Trieste, resistente. Sciogliendo la riserva presa all'udienza del 21 febbraio 2006. 1) Premesso che: con distinti ricorsi Macor Alberto, Fiorencis Fulvio, Ielussig Susanna, Carnemolla Maria, Giordano Giuliana esponevano di essere stati prima dipendenti dell'Ente Poste e quindi, a seguito della trasformazione in societa' per azioni ex art. 2, comma 27 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, delle Poste Italiane S.p.A., sottoposti pertanto, quanto alle indennita' terminative, ad un duplice regime: dalla data di assunzione alla trasformazione in S.p.A. all'indennita' di buonuscita e per il periodo successivo al t.f.r. In particolare, i ricorrenti evidenziavano che l'art. 4 della legge n. 297/1982, istitutiva del t.f.r., ne aveva previsto l'applicazione a tutti i rapporti di lavoro con esclusione di quelli di impiego pubblico (quale era quello alle dipendenze dell'Ente Poste) e che l'art. 5, relativa al cumulo tra il pregresso istituto dell'indennita' di anzianita' e t.f.r., aveva previsto la rivalutazione dell'indennita' di anzianita', calcolata secondo la disciplina vigente sino al 1982, secondo gli stessi criteri previsti dall'art. 2120 c.c.; che l'art. 53, comma 6, legge n. 449/1997 aveva invece previsto per il personale delle Poste, a decorrere dalla trasformazione dell'Ente Poste Italiane in S.p.A., il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. e, per il periodo antecedente, l'indennita' di buonuscita, calcolata secondo la normativa prima vigente. I ricorrenti sostenevano pertanto, al fine del mantenimento del potere di acquisto, il diritto alla rivalutazione dell'indennita' di buonuscita accantonata, cosi' come il legislatore del 1982 aveva espressamente stabilito per l'indennita' di anzianita' gia' maturata, con riferimento ai dipendenti privati, all'entrata in vigore della disciplina del t.f.r., pena un'irragionevole disparita' di trattamento dei dipendenti delle Poste Italiane rispetto a tutti gli altri dipendenti del settore privato al momento del passaggio dal regime dell'indennita' di anzianita' a quello del t.f.r. Essi affermavano inoltre l'interesse ad agire per l'accertamento di tale diritto alla rivalutazione, attesa la situazione di incertezza sul punto, come ammesso dalla giurisprudenza di legittimita' in materia di t.f.r. in corso di rapporto. Concludevano, pertanto, per l'accertamento del diritto alla rivalutazione della somma loro spettante a titolo di indennita' di buonuscita ai sensi dell'art. 53, comma 6 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997. Si costituiva nei distinti giudizi Poste Italiane S.p.A. eccependo, in via preliminare, l'inammissibilita' dell'azione di mero accertamento proposta dai ricorrenti, per mancanza di interesse ad agire, in quanto la situazione oggetto dell'accertamento medesimo non era mai stata contestata; eccepiva, altresi', la propria carenza di legittimazione passiva, dal momento che la corresponsione della indennita' di buonuscita e' ancora di competenza di IPOST, si' da chiedere l'estromissione dal giudizio. Nel merito la societa' sosteneva comunque l'infondatezza della pretesa rivalutazione della somma spettante a titolo di indennita' di buonuscita, non essendo applicabile l'art. 429 c.p.c., attesa la natura previdenziale e non retributiva dell'indennita' di buonuscita, e non essendo la rivalutazione prevista dall'art. 53, comma 6, legge n. 449/1996 e dall'art. 5 della legge n. 282/1996. Si costituiva nei diversi giudizi IPOST, Gestione Commissariale Fondo Buonuscita lavoratori delle Poste Italiane S.p.A., chiedendo il rigetto delle domande. Rilevava, in particolare, che il legislatore aveva consapevolmente disciplinato, con il comma VI dell'art. 53, legge n. 27 dicembre 1997, n. 449, due autonomi e differenti regimi, indennita' di buonuscita e t.f.r., prevedendo che l'indennita' di buonuscita, per il periodo precedente alla trasformazione in S.p.A., venga calcolata secondo la normativa vigente prima della trasformazione; che il t.f.r. non e' in alcun modo assimilabile all'indennita' di buonuscita, soggiacendo questa ad un rigido rapporto di proporzionalita' tra il versato e l'entita' dell'indennita', la cui liquidazione fonda i propri criteri gestionali e operativi in scelte di politiche economica del Paese, che non possono prescindere da valutazioni di copertura finanziaria e di, equilibrio del bilancio dello Stato. Chiedeva quindi il rigetto del ricorso. Nel corso del giudizio veniva disposta la riunione delle cause, stante l'identita' delle questioni dalla cui risoluzione dipende la decisione di esse. Autorizzato il deposito di note, il giudice si riservava. 2) Considerato che: I ricorrenti, dipendenti postali da periodo precedente alla privatizzazione delle Poste, chiedono l'accertamento del diritto alla rivalutazione della somma accantonata a titolo di indennita' di buonuscita a partire dalla data di trasformazione dell'Ente Poste Italiane in S.p.A. sino alla cessazione del rapporto di lavoro. La domanda, quindi, non e' volta ad ottenere il riconoscimento di nuove voci di calcolo per l'indennita' di buonuscita, ma il diritto alla rivalutazione dell'indennita' di buonuscita, indennita' che, per espressa previsione legislativa, viene calcolata secondo la disciplina propria, quindi accantonata per andare ad aggiungersi al t.f.r. che matura per il periodo successivo alla privatizzazione. 3) Ritenuto che sussista, in capo ai ricorrenti, l'interesse ad agire. In dottrina, l'azione di accertamento in materia di t.f.r. e' ammessa sia da coloro che sostengono l'esistenza di un diritto del lavoratore sulle quote, sia anche da chi ritiene che il diritto nasca solo con l'estinzione del rapporto di lavoro, in ragione di elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici. In tal senso la costante giurisprudenza di legittimita' ritiene ormai possibile per il lavoratore, in costanza di rapporto di lavoro, esperire un'azione di mero accertamento in relazione ai criteri di calcolo del t.f.r., in quanto l'utilita' dell'azione sta proprio nel vantaggio che deriva al lavoratore dal mettere un punto fermo indiscutibile sul t.f.r. maturato, in presenza di un oggettivo stato di incertezza (cfr.: Cass. 24 giugno 1991, n. 7081; Cass. 9.6.5606; Cass. 11 giugno 2000, n. 6046). Nella fattispecie concreta, tale situazione di incertezza e' evidenziata dalla tesi, contraria a quanto richiesto dai lavoratori, espressa dal Ragioniere generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle Finanze (doc. 6 IPOST). 4) Considerato che: In base al disposto dell'art. 2, comma 27 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, l'Ente Poste Italiane e' stato trasformato in societa' per azioni, divenendo quindi i ricorrenti, da quel momento, dipendenti privati. L'art. 53, comma 6 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha quindi previsto che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente Poste Italiane in societa' per azioni ai sensi dell'art. 2, comma 27, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, al personale dipendente dalla societa' medesima spetta: «il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennita' di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma», ossia secondo la normativa vigente per il personale statale. Conformemente, l'allegato A al CCNL in vigore afferma che l'indennita' di buonuscita maturata dai dipendenti di Poste Italiane S.p.A. fino alla data del 28 febbraio 1998 (trasformazione dell'ente in S.p.A.) continuera' ad essere calcolata secondo la normativa tuttora vigente. Pertanto, con il passaggio, in data 1° marzo 1998, da Ente Pubblico Economico a Poste Italiane S.p.A., i dipendenti postali assunti prima della trasformazione avranno diritto a due indennita' terminative distinte, con attuazione di due separate operazioni di liquidazione a seconda della soggezione del periodo considerato all'uno o all'altro regime. L'indennita' di buonuscita, maturata sino alla data di trasformazione dell'Ente, e' calcolata secondo la disciplina vigente prima della privatizzazione, ex d.P.R. n. 1032 del 29 dicembre 1973, venendo quindi accantonata per andare ad aggiungersi, alla cessazione del rapporto di lavoro, alle somme maturate nel periodo successivo alla trasformazione, a titolo di t.f.r., calcolato secondo la disciplina introdotta dalla legge 29 maggio 1982, n. 297. Nulla ha detto espressamente il legislatore circa il diritto - rivendicato dai ricorrenti in questo giudizio - alla rivalutazione dell'indennita' di buonuscita maturata sino alla data della trasformazione dell'Ente Poste in S.p.A. e accantonata. L'art. 53, comma 6 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha invero soltanto stabilito che l'indennita' di buonuscita deve essere calcolata secondo la disciplina propria. Tuttavia, i ricorrenti assumono che sussistano le condizioni per l'applicazione al caso dell'art. 2120, commi 4 e 5 c.c., attraverso gli articoli 4 e 5 della legge n. 297/1982. Cio' viene sostenuto sulla base della sostanziale identita' rispetto alla situazione determinatasi a seguito del passaggio, nel rapporto di lavoro privato, dall'indennita' di anzianita' al t.f.r., situazione regolata dal legislatore in modo tale da assicurare, alla quota di indennita' di anzianita' maturata e cristallizzata alla data di entrata in vigore della nuova legge, lo stesso meccanismo di rivalutazione annuale previsto per gli accantonanti annuali del t.f.r. 5) Ritenuto al contrario, dopo piu' attenta riflessione, che la mancata previsione della rivalutazione dell'indennita' di buonuscita non possa essere colmata per via interpretativa, con l'applicazione dei commi 4 e 5 dell'art. 2120 c.c., attraverso gli artt. 4 e 5 della legge n. 297/1982, ma determini, al contrario, il dubbio di legittimita' costituzionale, come gia' ritenuto dal Tribunale di Roma nell'ordinanza di rimessione alla Corte del 7 giugno 2005 (iscritta al n. 456 del registro ordinanze 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39, prima serie speciale, 2005). Se e' vero, infatti, che l'art. 53, comma 6, della legge n. 449/1997 non prevede alcuna rivalutazione dell'indennita' di buonuscita, si rileva che la normativa richiamata dai ricorrenti (legge n. 297/1982) ed i principi in generali ad essa sottesi vengono in rilievo nel settore del pubblico impiego (tale e' stato il rapporto con l'E.P.I. fino al febbraio 1998) solo in via sussidiaria e nei limiti in cui la materia non sia diversamente regolata da norme speciali, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2129 c.c.; inoltre, l'art. 53, comma 6, legge n. 449/1997, quale norma di pari rango di quelle contenute nella legge n. 297/1982, prevale sulle stesse, in quanto successiva, oltre che speciale; ne consegue che l'indennita' di buonuscita, dovuta al personale postelegrafonico per la parte di rapporto di natura pubblicistica, e' regolata esclusivamente dal d.P.R. n. 1092/1973 e, per quanto qui interessa, dalla legge n. 449/1997, che non prevede alcuna forma di rivalutazione dell'indennita' di buonuscita. Si deve, altresi', considerare che le norme degli artt. 4 e 5 della legge n. 297/1982 - attraverso le quali i ricorrenti sostengono il diritto all'applicazione dei commi 4 e 5 dell'art. 2120 c.c. - in quanto disposizioni rispettivamente «finali» e «transitorie» erano destinate a disciplinare la situazione del passaggio dei dipendenti privati dal regime dell'indennita' di buonuscita a quello del «nuovo» trattamento di fine rapporto, con efficacia quindi necessariamente limitata nel tempo. 6) Considerato che, per tali motivi, la domanda dei ricorrenti dovrebbe essere respinta, tanto che cio' rende rilevante il proposto incidente di costituzionalita'. 7) Ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, per le ragioni subito esposte. La disciplina e la natura dell'indennita' di buonuscita. In base al d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 i dipendenti statali, all'atto di cessazione del servizio, conseguono il diritto all'indennita' di buonuscita. In particolare, in base all'art. 3 (come modificato dall'art. 7, comma 1, legge n. 177/1976 e dall'art. 1, comma 267, legge n. 662/1996) «l'iscritto al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, gestito dall'ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali, che cessi dal servizio per qualunque causa, consegue il diritto all'indennita' di buonuscita dopo almeno un anno di iscrizione al Fondo (comma 1). L'indennita' e' pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui all'art. 38 quanti sono gli anni di servizio computabili ai sensi delle disposizioni contenute nel successivo comma 3 (comma 2). Per la determinazione della base contributiva, ai fini dell'applicazione del comma precedente, si considera l'ultimo stipendio o l'ultima paga o retribuzione integralmente percepite; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva (comma 3). All'iscritto al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, di cui al primo comma, che effettui passaggi di qualifica, di carriera o di amministrazione senza soluzione di continuita', e che comunque, dopo tali passaggi, continui ad essere iscritto al Fondo stesso, viene liquidata all'atto di cessazione definitiva dal servizio un'unica indennita' di buonuscita commisurata al periodo complessivo di servizio prestato». In base all'art. 38 la base contributiva e' costituita dall'80% dello stipendio, paga o retribuzioni annui, considerati al lordo, di cui alle leggi concernenti il trattamento economico del personale iscritto al Fondo, nonche' alcuni assegni e indennita' specificamente indicate. In base all'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, anche all'indennita' di buonuscita viene ora riconosciuta la natura di retribuzione differita con funzione previdenziale, alla pari degli altri trattamenti di fine rapporto, funzione che e' quella di far superare al lavoratore le difficolta' economiche conseguenti al venir meno del trattamento retributivo per effetto della cessazione del rapporto di lavoro (Cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 471/1989, n. 319/1991, n. 99/1993; n. 243/1993, nonche' Cass. 26 gennaio 2000, n. 10). In particolare, secondo la Corte costituzionale «non puo' negarsi che la natura retributiva propria dell'indennita' di fine rapporto permane e vale quali che siano i soggetti tenuti ad erogare il trattamento (il medesimo datore di lavoro o un terzo), quale che sia il meccanismo di alimentazione della provvista (contributi o accantonamento), quali che siano i soggetti su cui grava l'onere contributivo in senso lato (datore di lavoro, lavoratore o entrambi)», sicche' si puo' in definitiva affermare che «le indennita' di fine rapporto, nonostante le diversita' di regolamentazione, costituiscono una categoria unitaria connotata da identita' di natura e funzione e dalla generale applicazione a qualunque tipo di lavoro subordinato e a qualunque ipotesi di cessazione del medesimo» (Corte cost. sentenza n. 243/1993). La comune natura di retribuzione differita (accompagnata dalla funzione previdenziale), riconosciuta a tutti i trattamenti di fine rapporto, ne determina un'intrinseca comparabilita', sia nella sfera del settore pubblico che in quella del settore privato. Si osserva fra l'altro che, completando il processo di armonizzazione dell'intero comparto del lavoro dipendente, la riforma pensionistica del 1995 ha stabilito (art. 2, comma 5, legge n. 335 del 1995) che per i lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 alle dipendenze di amministrazioni pubbliche i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, siano regolati in base a quanto previsto dall'art. 2126 c.c. in materia di t.f.r. Ai dipendenti pubblici, tra cui anche rientravano quelli delle Poste prima della trasformazione in S.p.A., l'indennita' di buonuscita veniva dunque attribuita sulla base dell'ultimo stipendio (che e' di regola piu' alto), percepito dagli interessati all'atto di cessazione del servizio. L'indennita' di anzianita' prevista dal testo originario dell'art. 2120 c.c. Sulla base dell'ultimo stipendio era altresi' calcolata l'indennita' di anzianita' che spettava ai lavoratori privati in base al testo originario dell'art. 2120 c.c., prima di essere sostituita dal trattamento di fine rapporto. In particolare, in ogni caso di cessazione del contratto di lavoro spettava al lavoratore un'indennita' proporzionale agli anni di servizio; l'ammontare dell'indennita' era determinata in base all'ultima retribuzione e in relazione alla categoria di appartenenza, fissando poi l'art. 2121 c.c. i criteri di computo. Pertanto, sia l'indennita' di buonuscita che la vecchia indennita' di anzianita' erano calcolate sulla base dell'ultimo stipendio percepito al momento della cessazione del rapporto; cio' garantiva l'adeguamento della somma al costo della vita al momento dell'erogazione (cessazione del rapporto). La disciplina del t.f.r. e la disciplina transitoria. La funzione della rivalutazione. L'art. 1 della n. 297 del 1982 ha introdotto, in sostituzione dell'indennita' di anzianita', il trattamento di fine rapporto, sostituendo l'art. 2120 c.c. che ora prevede: «In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota e' proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni (comma 1). Salvo diversa disposizione previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese (comma 2). In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'art. 2110, nonche' in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato, nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro (comma 3). Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell'anno, e' incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'Istat, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente (comma 4). Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l'incremento dell'indice Istat e' quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero (comma 5)». La rivalutazione avviene su base composta, nel senso che ogni anno si procede alla rivalutazione di tutte le quote precedenti comprensive degli incrementi gia' calcolati in passato. Il tasso di indicizzazione prescelto dal legislatore e' misto, composto da una parte in misura predeterminata e da una parte in misura variabile destinata a cumularsi tra loro. La parte variabile e' collegata all'indice Istat per i prezzi al consumo, che e' diverso da quello per la scala mobile utilizzato per la rivalutazione dei crediti di lavoro (art. 429 c.p.c. e art. 150 disp. att. c.p.c.). Si e' evidenziato che la scelta di un tasso misto al posto di una indicizzazione pura (piena o parziale) e' stata consapevole, al fine di garantire una copertura piena del valore reale delle quote solo in caso di inflazione pari al 6%, mentre in caso di inflazione superiore a tale livello la copertura diviene parziale ed in caso di inflazione inferiore viene assicurata al lavoratore una piccola rendita. In tal modo l'adeguatezza della garanzia risulta inversamente proporzionale all'andamento dell'inflazione, concorrendo a contenere il costo del lavoro e, quindi, l'inflazione stessa allorche' questa superi il livello considerato tollerabile. Il calcolo del t.f.r. non e' piu' fondato, come per l'indennita' di anzianita', sull'ultima retribuzione, la cui considerazione determinava un adeguamento automatico delle quote pregresse, bensi' e' ancorato alla retribuzione di ciascun anno di lavoro, nel senso che le relative quote vengono calcolate alla fine di ogni anno solare ed accantonate in attesa di essere erogate tutte insieme alla cessazione del rapporto. Questo intervallo tra il momento del calcolo e quello dell'erogazione comporterebbe, in un periodo di inflazione, una progressiva diminuzione del valore reale delle quote, in assenza di un adeguato meccanismo di indicizzazione delle stesse. Le disposizioni dell'art. 2120 c.c., commi 4 e 5, predispongono, appunto, un meccanismo del genere, prevedendo un tasso di incremento annuale delle quote calcolate negli anni precedenti. Nella struttura del nuovo istituto tale sistema di rivalutazione assolve, dunque, la medesima funzione adempiuta, per la vecchia indennita' di anzianita', dall'aggancio della base di calcolo all'ultima retribuzione, trattandosi, in entrambi i casi, di adeguare al costo della vita al momento dell'erogazione (cessazione del rapporto) l'entita' di compensi imputabili al lavoro svolto durante tutto l'arco del rapporto; la differenza e' che nel vecchio sistema lo scopo era realizzato mediante la rivalutazione della base di calcolo, mentre nel nuovo sistema si rende necessaria la rivalutazione dei risultati del calcolo (quote). La stessa legge n. 297 del 1982 all'art. 4 (disposizioni finali) ha previsto che: «le norme di cui all'art. 2120 c.c. commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma dell'art. 5 della presente legge si applicano a tutti i rapporti di lavoro subordinato per i quali siano previste forme di indennita' di anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate o da qualsiasi fonte disciplinate (comma 4)», prevedendo al contempo che tale disciplina non si applichi al trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. Infine, l'art. 5 della stessa legge (disposizioni transitorie) ha previsto, al comma 1, che «l'indennita' di anzianita' che sarebbe spettata ai singoli prestatori di lavoro in caso di cessazione del rapporto all'atto dell'entrata in vigore della presente legge e' calcolata secondo la disciplina vigente sino a tale momento e si cumula a tutti gli effetti con il trattamento di cui all'art. 2120 c.c. Si applicano le disposizioni del quarto e quinto comma dell'art. 2120 c.c.». Pertanto nei confronti dei rapporti di lavoro sorti prima dell'entrata in vigore della legge stessa (1° giugno 1982) e ancora in corso di svolgimento a quella data, il trattamento economico da corrispondersi alla cessazione del rapporto consta di due parti. La prima e' relativa all'anzianita' maturata sino al 31 maggio 1982 e consiste in una somma calcolata secondo i criteri dettati per l'indennita' di anzianita' dal vecchio testo degli artt. 2120 e 2121 c.c.; la seconda parte e' relativa all'anzianita' di lavoro maturata dopo il 31 maggio 1982 e consiste in una somma calcolata secondo le modalita' e i criteri dettati dalla legge n. 297 del 1982 per il t.f.r. Ambedue le somme vengono poi annualmente rivalutate secondo il meccanismo di indicizzazione previsto dalla disciplina sul trattamento di fine rapporto. Si e', in altri termini, previsto che per il periodo di lavoro precedente alla legge 297 del 1982 il dipendente avesse diritto alla indennita' di anzianita' calcolata in base alla disciplina pregressa, ma si e' anche stabilito che la somma cosi' calcolata - e distinta da quella maturata e calcolata per il periodo successivo a titolo di t.f.r. - venisse annualmente rivalutata attraverso gli indici previsti per il t.f.r. Cio' all'evidente scopo di evitare che la predetta somma, da calcolarsi in base all'ultimo stipendio goduto al momento dell'entrata in vigore del t.f.r. ed erogata poi, al momento della cessazione del rapporto di lavoro anche a distanza di molti anni, perdesse il potere di acquisto che le era proprio. La disciplina dell'indennita' di buonuscita maturata nel periodo precedente alla trasformazione delle Poste in S.p.A. Con la sostituzione, attuata dalla legge n. 297/1992, dell'indennita' di buonuscita con il t.f.r., si e' posta, in realta', la medesima questione oggetto del presente giudizio, sebbene, in quell'occasione, il legislatore, con la disposizione transitoria dell'art. 5, abbia espressamente previsto l'indicizzazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 dell'art. 2120 c.c., anche della somma calcolata a titolo di indennita' di anzianita'. L'art. 53, comma 6, lettera a) della legge n. 449/1997 non prevede invece la rivalutazione dell'indennita' di buonuscita riconosciuta ai dipendenti postali per la parte di rapporto pubblico, maturata al 28 febbraio 1998 e calcolata sulla base della retribuzione spettante a tale data. Ne' si puo' ritenere, per quanto sopra esposto, che il diritto alla rivalutazione derivi dall'applicazione dell'art. 5 della legge n. 297/1982. La legge del 1997 non ha previsto nemmeno la possibilita' del pagamento immediato di detta indennita' che, entrando a far parte dell'unitario trattamento di fine rapporto quale quota di esso senza interruzione del rapporto di lavoro nel passaggio dall'E.P.I. alle Poste Italiane S.p.A., potra' essere erogata solo all'atto della cessazione del rapporto. E, d'altra parte, la possibilita' del pagamento immediato dell'indennita' di buonuscita deve essere esclusa in ragione della natura retributiva con finalita' previdenziale propria di tutte le indennita' terminative. Pertanto, l'indennita' in questione resta congelata in cifra fissa per tutto il periodo compreso tra il l° marzo 1998 e la data di cessazione del rapporto di lavoro dei dipendenti, non determinabile prevedibilmente e variabile per ciascuno di essi. L'indennita' di buonuscita viene quindi quantificata prendendo come parametro di calcolo l'ultima retribuzione percepita dal dipendente postale in qualita' di pubblico dipendente, cioe' quella spettante al 28 febbraio 1998, in base al disposto dell'art. 3, commi 2 e 3 d.P.R. n. 1032/1973, e non quella della effettiva cessazione del rapporto di lavoro, che, invece, costituisce parametro da utilizzare per l'esatta quantificazione del trattamento di fine rapporto. Tuttavia, l'indennita' di buonuscita spettante ai dipendenti delle Poste prima della trasformazione in S.p.A. e' del tutto equiparabile all'indennita' di anzianita' di cui godevano i dipendenti privati prima dell'introduzione del t.f.r. La norma dell'art. 53, comma 6, lettera a) della legge. n. 449/1997 - nella parte in cui non prevede il diritto alla rivalutazione monetaria dell'indennita' di buonuscita - risulta pertanto di dubbia legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. Risulta in primo luogo in contrasto con l'art. 3 della Costituzione non garantire anche ai dipendenti delle Poste cio' che e' stato attribuito a tutti gli altri dipendenti, tanto del settore privato al momento del passaggio dal regime dell'indennita' di anzianita' a quello del t.f.r., che del settore pubblico. La diversita' di disciplina non appare invero in alcun modo ragionevole e giustificata, anche considerando che il legislatore mostra di aver voluto parificare i dipendenti delle Poste, al momento della trasformazione in S.p.A., a tutti gli altri dipendenti privati quanto alle indennita' terminative. La rilevata identita' di natura e di funzione di tutte le indennita' di fine rapporto, quale piu' volte evidenziata dalla Corte costituzionale, esclude, in ragione dei principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione, che la varieta' di struttura e di disciplina che esse presentano nei vari settori del lavoro subordinato possano tradursi in sperequazioni sostanziali (Corte costituzionale, sentenza n. 243/1993 e n. 164/1998). La norma in oggetto crea altresi' un'irragionevole disparita' di trattamento pure nell'ambito degli stessi dipendenti postali, venendo in particolar modo danneggiati i lavoratori che, in ipotesi, cessino il rapporto di lavoro a notevole distanza dalla trasformazione delle Poste in S.p.A., ma che, al contempo, fossero gia' dipendenti dell'ente da molti anni prima; in tal caso la somma maturata a titolo di indennita' di buonuscita non sarebbe piu' adeguata al costo della vita al momento dell'erogazione, che coincide con quello della cessazione del rapporto. Inoltre, la norma si pone in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce il principio di proporzionalita' della retribuzione rispetto alla quantita' e qualita' di lavoro prestato e dove prevede il principio di sufficienza rispetto alle particolari esigenze di vita che tali indennita' sono dirette a fronteggiare. Finche', al momento della cessazione del rapporto di lavoro al dipendente postale era attribuita soltanto l'indennita' di buonuscita, essendo questa calcolata - come anche l'indennita' di anzianita' prima della sua sostituzione con il t.f.r. - sull'ultima retribuzione, il lavoratore aveva comunque garantito l'adeguamento automatico delle quote pregresse. Escludere la rivalutazione monetaria dell'indennita' di buonuscita maturata prima della trasformazione dell'ente determina invece un'irragionevole lesione del diritto all'adeguamento al costo della vita dei crediti del lavoratore, diritto che costituisce un principio generale dell'ordinamento lavoristico, come sancito dall'art. 429 c.p.c. L'adeguamento alle variazioni del valore reale della moneta cagionate dall'inflazione e' essenziale per conservare il rapporto di proporzionalita', garantito dall'art. 36, tra retribuzione e quantita' del lavoro, posto che tale rapporto richiede ovviamente di essere riferito ai valori reali di entrambi i suoi termini. E la rivalutazione costituisce tale strumento di adeguamento. Riconosciuta la natura retributiva, seppur con finalita' previdenziali, di tutte le indennita' terminative, non sembra ragionevole ne' giustificata l'esclusione della rivalutazione dell'indennita' di buonuscita del solo dipendente postale che, assunto prima della trasformazione dell'ente, abbia continuato a lavorare anche successivamente, come e' avvenuto per i ricorrenti. In altri termini, come gia' ritenuto dal Tribunale di Roma con la citata ordinanza del 7 giugno 2005, non pare ragionevole ne' giustificata la penalizzazione imposta ai dipendenti postali, rispetto a tutti gli altri lavoratori solo in ragione della trasformazione, per legge, del rapporto di lavoro da pubblico a privato. Al contempo, considerata anche la finalita' previdenziale delle indennita' terminative del rapporto, la norma impugnata si pone in contrasto con l'art. 38, comma 2 della Costituzione nella parte in cui prevede che vengano assicurati al lavoratore, in caso di vecchiaia, mezzi adeguati alle esigenze di vita; il principio di adeguatezza (e sufficienza) presuppone infatti criteri di rivalutazione della prestazione idonei a garantire il permanere nel tempo del valore reale della prestazione stessa. Ne' puo' ritenersi che la disciplina in questione sia in realta' di maggior favore in quanto l'indennita' di buonuscita spettante all'impiegato postale e' calcolata sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della cessazione del rapporto d'impiego, stante la continuazione del rapporto di lavoro (pur nella nuova veste privatistica) e in considerazione del fatto che la suddetta indennita', congelata al febbraio 1998 senza alcuna rivalutazione, viene erogata solo alla cessazione del rapporto stesso. Per i motivi sopra esposti - vista anche l'ordinanza della Corte costituzionale n. 185 del 2006 - questo giudice ritiene del tutto irrazionale e contraria al principio di uguaglianza, oltre che a quelli di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione, la mancata previsione anche per l'indennita' di buonuscita dei dipendenti postali, accantonata ex art. 53, comma 6, lettera a), legge n. 449/1997, della rivalutazione secondo i criteri di cui al quarto e quinto comma dell'art. 2120 c.c., in relazione all'art. 5, primo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297; si tratta di criteri idonei a mantenere adeguato il valore della somma accantonata nel tempo anche lungo, e diverso da dipendente a dipendente, che puo' intercorrere fino alla effettiva erogazione, nel rispetto della funzione previdenziale propria delle indennita' terminative, nonche' ad evitare le irragionevoli diversificazioni del valore reale dell'indennita' anche tra gli stessi destinatari della norma impugnata.